Le denunce sui presunti abusi subiti dalle giovanissime ginnaste italiane raccontano uno sport che richiede assai di più degli inevitabili sacrifici comuni a tutti gli atleti

Più che cronache provenienti da un centro sportivo sembrano i racconti di un incubo collettivo. C’è chi denuncia pressioni e violenze psicologiche e chi rivela di aver pensato addirittura al suicidio. Le testimonianze sono più di una e hanno portato alla decisione da parte del presidente della Federginnastica Gherardo Tecchi di commissariare l’Accademia di Desio. Una scelta senza precedenti per lo sport italiano, che coinvolge in prima persona Emanuela Maccarani, la direttrice del Centro, che ha portato alla ritmica centinaia di medaglie ed è rappresentante della categoria dei tecnici nel Consiglio del Coni. La procura federale intanto ha iniziato le audizioni delle ex atlete che hanno riferito di aver subito abusi e insulti.

La questione non è nuova e di sicuro ora occorrerà fare attenzione a quelle denunce dettate dalla frustrazione da mancanza di risultati piuttosto che da riscontri reali. Ma fatti i necessari distinguo il problema era già noto, per quanto sotto traccia. L’unico segnale di discontinuità è il coraggio di queste ragazze.

Il nostro parere in merito a questa vicenda è molto chiaro: nello sport di alto livello tra allenatore e atleta si stipula un patto, l’obiettivo da raggiungere gratificherà entrambi. Ma i patti si sottoscrivono in condizioni di equilibrio tra le parti, una bambina non può sottoscrivere alcun patto e nessuno, neppure i genitori, possono rubare l’infanzia e l’adolescenza ai propri figli. Se le medaglie in alcune discipline si possono vincere solo tra i 15 e i 18 anni, sono i programmi di gara che devono essere stravolti per far si che l’età di massima prestazione venga ritardata, non le vite delle ragazze.

La Ginnastica Artistica al femminile è sempre stata considerata il paradigma della specializzazione precoce, uno limiti più evidenti dello sport moderno, spesso denunciato e mai combattuto con la determinazione necessaria.

Ad aprire la porta del tunnel degli “incubi” della Ginnastica azzurra è stata Nina Corradini, ginnasta romana di 19 anni, ha raccontato le pressioni che ha subito per evitare che il peso del suo corpo superasse “i limiti consentiti”: «Mangiavo sempre meno, ha raccontato, ma ogni mattina salivo sulla bilancia e non andava mai bene: per due anni ho continuato a subire offese quotidiane». Insieme alle sue compagne veniva pesata in mutande davanti a tutti. L’allenatrice annotava il peso su un quaderno e commentava, spesso con durezza, talvolta con sarcasmo, il responso della bilancia. E così Nina saltava la colazione, arrivava a pesarsi più volte al giorno, ingurgitava lassativi, spesso sveniva priva di forze. Poi, il 14 giugno 2021, decide che la sua storia sportiva era giunta al capolinea.

Anna Basta, 21 anni, era compagna in Nazionale di Nina e come lei, ha vissuto la ginnastica come un tormento, decidendo di rinunciare all’Olimpiade di Tokyo, dopo essersi qualificata. Ha raccontato di aver addirittura pensato al suicidio: «Stavo per farlo ma all’improvviso è entrata una persona in stanza e mi sono scossa. La volta successiva ero in mezzo alla gente». Utilizzava le Dieci Erbe, pastiglie che aiutano ad andare in bagno. «Mi sono fermata quando ho capito che non stavo più bene con me stessa, non riuscivo più a guardami allo specchio». è riuscita a risollevarsi grazie ad un percorso terapeutico . Ha ha avviato su Instagram rubrica sui disturbi del comportamento alimentare.

Giulia Galtarossa, due Mondiali vinti nel 2009 e nel 2010, sottolinea come il tema non è solo il controllo ossessivo del peso, ma anche i metodi: in mutande, davanti a tutti, insultate e umiliate dalle allenatrici. Giulia, da anni parla dei disturbi alimentari conseguenza delle regole rigide del suo sport. Ora si è spinta oltre, raccontando alcuni episodi accaduti al centro federale di Desio: «Quell’accademia mi ha rovinato la vita, una volta fecero schierare le compagne davanti a me per poi farmi girare di spalle e mostrar loro quanto fosse grosso il mio sedere. Mi prescrissero una dieta e alla fine c’era questo messaggio: Abbiamo un maialino in squadra».

L’ultima denuncia in un’intervista al Corriere della sera è di Ilaria Barsacchi, costretta a smettere a 16 anni: «pesavo 38 kg venivamo pesate tutti i giorni, speravo che le mestruazioni non arrivassero mai. Avevo male a un piede, dicevano che era colpa del peso: invece era una frattura da stress al metatarso».

L’auspicio è un’inchiesta seria e approfondita, non solo da parte della giustizia sportiva, notoriamente autoreferenziale, ma anche da parte di quella civile.

Veronica Lotito