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a cura di Roberto Paderi
È uscito poco prima delle Olimpiadi di Tokio “I signori del doping” di Alessandro Donati, edito da Rizzoli. Le prime cinquemila copie sono andate letteralmente a ruba lasciando le librerie italiane sguarnite. Qualcuno definisce “testamento” quest’ultima sua fatica noi pensiamo (e speriamo) che non sia l’ultima e che Sandro possa far sentire ancora la sua voce. Pensiamo altresì che più che una fatica sia stato un vero e proprio tormento. Scrivere una storia autobiografica che ad ogni passaggio appariva sempre più un esercizio masochistico e di grande sofferenza, è stata tutt’altra impresa rispetto ai libri scritti in precedenza.

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Ha risposto in esclusiva alle nostre domande, con le Olimpiadi Giapponesi oramai archiviate insieme alle celebrazioni per i successi calciofili e per le medaglie italiane.
D. Professore ci permetta di iniziare da considerazioni più personali, dal suo stato d’animo, ha seguito queste olimpiadi? Quali pensieri le sono passati per la testa mentre scorrevano le immagini delle vittorie azzurre sapendo che tra coloro che hanno lottato per una medaglia avrebbe avuto il diritto di esserci anche Alex Scwazer?
R. Mi ha impressionato non tanto il malvagio commento del solito telecronista impegnato da anni a dileggiare Alex e me, quanto il silenzio dell’ambiente sportivo italiano che ha fatto finta di non accorgersi delle risultanze schiaccianti e gravi dell’indagine giudiziaria di Bolzano. Un vigliacco uniformarsi a coloro che hanno compiuto o coperto la manipolazione. Un mondo, quello sportivo, nel quale dominano l’individualismo e l’egoismo e nel quale vige il pensiero “non hanno colpito me, dunque che mi importa? Anzi, approfittando del precedente di Schwazer, se esprimo indifferenza o addirittura soddisfazione mi accredito ancora di più come atleta, tecnico o dirigente antidoping”. Una triste manifestazione di opportunismo ed egoismo che ha fatto sfregare le mani a coloro che lavorano da anni per distruggere Schwazer ed isolare me.

D. Come giudica “l’incapacità” dei Governi di opporsi alla prepotenza delle Federazioni Sportive Internazionali, pensiamo non solo all’atletica, l’Uefa ad esempio ha mantenuto il proprio palinsesto degli europei con le finali a Wembley, scatenando di fatto una nuova fase pandemica nel continente, infischiandosene delle richiese dei principali leader europei
R. I Governi non sono incapaci ma volutamente passivi: continuano a muoversi sull’equivoco che le Federazioni internazionali rappresentino a livello mondiale il loro sport, ma non è assolutamente cosi! In realtà lo sport giovanile e quello di base sono portati avanti dalle Federazioni nazionali e dai club. Le Federazioni internazionali, più comodamente, si occupano di un ristretto numero di atleti di punta, sui quali poggiano business e carriere. Però questi organismi autocratici approfittano della delega in bianco dei Governi e si pavoneggiano come fossero governanti a 360 gradi, ignorando e calpestando regole e diritti.
D. La nascita della WADA nel 1999 aveva acceso molte speranze da parte di chi invocava un ente terzo, ora la sua inefficacia è palese, cosa non ha funzionato? I governi sono consapevoli che il loro mandato è stato tradito?
R. Il Parlamento statunitense e la Corte europea per i diritti dell’uomo si sono resi conto che la Wada solo per un breve periodo ha cercato di agire autonomamente dal Cio e dalla politica, poi è planata in una totale compromissione, riducendosi al piccolo ruolo di persecutrice di singoli, piccoli casi, riducendo il sistema antidoping a pura apparenza.
D. A questo libro seguiranno altri prodotti, una fiction a puntate, dei documentari, c’è la speranza, almeno da parte di chi vuole uno sport diverso, che tutto ciò possa contribuire a cambiare le cose, è solo un’illusione?
R. Sono tentativi di informare, ma ci sono diversi ostacoli: il primo è che vale sempre il detto latino “panem et circences” ed il secondo è il provincialismo per cui ogni Paese si interessa solo dei casi che lo riguardano.
D. I risultati dei controlli sulle positività sono dello 0,3%, quasi nulle. Un’organizzazione che costa cifre pazzesche riesce a scoprire così pochi dopati e quasi mai atleti eccellenti. A parte qualche sprovveduto tutti sanno che la realtà è ben diversa. Lei ha più volte indicato la strada, nessuno ha ascoltato, da dove bisogna ripartire oggi, è possibile ipotizzare una strategia?
R. No, perché il sistema sportivo, con perfidia, ha creato un arcipelago di organismi antidoping che danno un’idea di grande efficienza e ciò è più che sufficiente per politici e apprendisti politici che si accontentano dell’apparenza. Questa rete di professionisti dell’antidoping è pronta ad ostentare efficienza e rigore di fronte ai casi minori, pur di raggiungere un minimo di dati statistici. Decisioni seriose ed apodittiche sono ricorrenti nei confronti di poveri cristi.
D. Abolirebbe o rivedrebbe il sistema dei “missed test”?
R. È una delle diverse “vie di fuga” offerte agli atleti di vertice. Non è solo questione di abolire la possibilità di commettere un missed test non giustificato razionalmente, ma occorrerebbe rivedere le modalità di notifica della reperibilità, abolire la finestra oraria, intensificare la raccolta dei dati del passaporto biologico che attualmente sono pochissimi per molti atleti di vertice, aumentare i controlli a sorpresa, ma soprattutto creare organismi di controllo extrasportivi. Tutto ciò è possibile? No! D’altro canto, un sistema che giunge a screditare le persone che per tutta la vita si sono impegnate contro il doping vero (non contro i “casucci”) è un sistema corrotto e putrefatto.
D. Se dovesse azzardare delle percentuali, tralasciando lo sport giovanile, nella speranza che effettivamente sia immune, quale potrebbe essere il rapporto tra atleti di vertice puliti e dopati?
R. Dipende dalle specialità sportive: in alcune la percentuale dei dopati è bassissima, in altre altissima.
D. Negli ultimi anni molti lanciatori dell’atletica hanno iniziato a realizzare misure incredibili, più elevate di sempre. In passato quelli che ottenevano questi risultati erano sistematicamente positivi agli anabolizzanti, cosa è cambiato?
R. Che assumono ormoni con maggiore accortezza e, soprattutto, che i controllori li lasciano fare.
D. Lei è stato responsabile della velocità italiana e ha collaborato assiduamente con Carlo Vittori. Era un periodo nel quale dietro Mennea c’era quasi il vuoto: almeno due/tre decimi di secondo di differenza. Le staffette azzurre degli anni 90 erano vincenti a livello europeo pur avendo interpreti che mediamente bucavano appena i 10,40. Oggi la nostra velocità si esprime a livelli impensabili fino a pochi anni fa: Jacobs è addirittura il più veloce al mondo, Tortu dice comunque la sua, poi c’è il giovane Patta… Cosa è successo?
R. Non mi intendo più di velocità, anche se mi resta un briciolo di capacità di osservazione per distinguere tra atleta ed atleta, ma lascio ad altri più aggiornati di me il compito di rispondere a questa domanda e ad altre simili.

D. Si aspettava dei risultati così eclatanti da parte degli atleti azzurri? Sembra quasi che la pandemia abbia avuto un effetto rigenerante ma ovviamente ci sono altre motivazioni. Sono gli altri che vanno piano o noi abbiamo trovato le giuste sinergie?
R. L’Italia sportiva e l’atletica in particolare si sono mosse bene e si sono ottimamente organizzate durante il lockdown del 2020, guadagnando un po’ rispetto a diversi avversari. Inoltre l’atletica italiana comincia a trarre profitto dagli immigrati africani, sapendoli ben preparare. Infine, è migliorato il livello strutturale dei nostri giovani, più alti e prestanti. Anche la capacità operativa degli allenatori è cresciuta. Ma occorre rendersi conto che a Tokyo tutto è girato per il verso giusto ed abbiamo avuto in Sebastian Coe un tifoso d’eccezione. Una volta incassata la non belligeranza italiana sul caso Schwazer, Coe si è ricordato delle lunghe permanenze nel nostro Paese quando faceva l’atleta ed ha espresso tutta la sua simpatia per l’Italia.
D. E del mezzofondo mondiale cosa pensa? si vedono dei tempi spaventosi…
R. No comment: tra piste elastiche e scarpe magiche non si capisce niente. Io, perlomeno, non ci capisco.
D. C’è un legame speciale tra Sandro Donati e la città di Cagliari, due dei nostri referenti scientifici, Franco Marcello e Paolo Masia hanno collaborato a lungo con lei e affrontato una sperimentazione sullo sport giovanile che ancora è considerata un paradigma. Come nacque quella sperimentazione che coinvolse più di mille ragazzi dell’area vasta di Cagliari?
R. Da un nostro desiderio visionario di studiare le capacità motorie dei ragazzi e dalla tenacia con la quale convincemmo il Coni a finanziarlo.

D. Lei ha collaborato a lungo con la scuola, anche a livello ministeriale, gli insegnanti di Educazione Fisica la adorano, ritiene che sia stato utile tutto quel percorso? È nata la consapevolezza tra i ragazzi che lo sport pulito si costruisce e si difende con l’impegno personale?
R. Molti insegnanti scolastici mi sostengono, mentre molti del mondo dell’atletica mi detestano. Un contrasto stridente e significativo… Penso che il mondo della scuola stia facendo la propria parte. Me ne rendo conto andando negli istituti scolastici.

D. Come sta oggi Alex Scwazer, quale sarà in futuro il suo rapporto con il mondo dello sport?
R. Ha sofferto molto per la gioia dei perversi e malvagi che hanno sabotato la sua urina e per i galoppini che, pur non avendo responsabilità dirette nel sabotaggio, hanno aiutato facendo controinformazione con la tecnica subdola del raccontare il simil vero. Con tanta dignità Alex va avanti nella sua vita, anche se i suoi persecutori si stanno accanendo ancora contro di lui per tentare di cancellarlo del tutto dallo sport.
D. Lei ha rigenerato una persona che altri hanno cercato di far finire in un baratro. I giovanissimi che hanno seguito la storia di Alex hanno subito simpatizzato per lui, forse perchè hanno riconosciuto le loro fragilità in quelle di Alex. Questo sport sul piano educativo funziona solo nelle piccole realtà e se si ha la fortuna di incontrare un allenatore che non vede solo il risultato, è sconfortante non crede?
R. Sconfortante, si. Nel mondo dello sport prevale la “risultatite”, che le performance siano poi reali o finte interessa a pochi. In questa vicenda di Alex ho potuto toccare con mano lo schematismo ed il semplicismo dell’ambiente sportivo. Ad esempio, non so se per povertà di analisi o per pigrizia mentale, il doping viene identificato dalla maggior parte dei praticanti nei pochissimi atleti che risultano positivi. Contro questi pochi ci si accanisce e li si strumentalizza per gridare e sottolineare la propria presunta pulizia. Per esperienza, mi sono reso conto che più si grida più c’è da dubitare.
