Alex Schwazer, la sua innocenza ora risplende, ne eravamo certi, ma adesso i veri colpevoli devono pagare

a cura di Francesco Marcello

Eccoci al dunque, dopo quattro anni di tormento che sono apparsi un’eternità, l’innocenza di Alex Schwazer è acclarata è risplende come il sole estivo delle spiagge italiane. Potrei non dire nulla oggi, perché sono tra quelli che si sono schierati al fianco di Sandro Donati (e di Alex) immediatamente e senza esitazione (http://www.valutazionemotoria.it/2016/06/27/oggi-come-ieri-io-sto-con-sandro-donati/). Ricordo con un velo di tristezza il messaggio di Oliviero Beha dopo la pubblicazione del mio intervento Franti cacciato dalla scuola (https://m.facebook.com/nt/screen/?params=%7B%22note_id%22%3A355779059000560%7D&path=%2Fnotes%2Fnote%2F&_rdr ), lo contattai per avere qualche consiglio utile a migliorare l’impatto comunicativo del mio articolo e in quella occasione mi manifestò la sua convinzione che dietro questa storia ci fosse un’ombra inquietante. Mi commuove il pensiero che quelle mie parole sono state una delle ultime cose che Oliviero ha letto.

L’amarezza che tutti abbiamo avvertito e ancora non abbiamo metabolizzato, è legata sopratutto all’interruzione brusca del sogno di Alex, perché il suo sogno era diventato il sogno di tanti. In un mondo, quello dell’atletica, dove gli ex dopati (o presunti ex), sono una moltitudine, al solo Schwazer non è stata data l’opportunità del riscatto, che a differenza di quasi tutte le altre situazioni, era un vero riscatto. Magari anche questo era uno dei problemi per il sistema, se uno vince senza doping destabilizza il mercato. I dettagli della vicenda sono noti e non è il caso che io li riepiloghi, voglio invece approfondire gli aspetti collaterali di questa bruttissima storia. Quando è stata sventolata agli occhi avidi dei mass media e dei tanti sciacalli, quella provetta che aveva fatto un giro tortuoso e portava scritto il nome del paese di Alex, io come tanti altri ho subito pensato: “è una porcata”, siamo stati etichettati come visionari, troppo vicini a Donati per essere obiettivi, e aggiungevano: “tutti sanno che chi si dopa una volta lo rifarà, serve la squalifica a vita!”. Colpisce il cinismo di chi ha cercato di rigettare Schwazer nell’inferno da cui con coraggio si era affrancato, incuranti di quanto tutto ciò poteva costare al ragazzo non solo dal punto di vista sportivo. Per fortuna un percorso come quello da lui compiuto fortifica la totalità della persona e Alex ha avvertito, insieme al tramonto dei suoi sogni di riscatto, che la sua fragilità del passato era solo un ricordo.

Gettando uno sguardo ai tanti interventi che hanno caratterizzato questi anni interminabili, e che avevano spesso come unico scopo l’emarginazione di Schwazer e del suo tecnico, è possibile operare una distinzione all’interno di coloro che si sono affrettati a dichiararsi colpevolisti. Non so quanti fossero ma c’erano anche quelli in buona fede, illusi che la correttezza delle istituzioni non potesse essere messa in discussione. Alcuni di loro con onestà hanno già ammesso il loro errore, altri erano forse troppo giovani o addirittura non c’erano quando l’atletica confezionava salti allungati, medici compiacenti che regalavano la loro pipì a lanciatori imbottiti di steroidi, positività alla caffeina costruite ad arte per incastrare un’ostacolista allenata da Donati. La maggior parte dei colpevolisti non apparteneva però a questa categoria e molti di loro sono personaggi pubblici a cui i mass media, nazionali o locali, hanno spesso rivolto le loro attenzioni. Sono individui che hanno visto nell’antidoping una battaglia utile ai loro obiettivi personali, da portare avanti, se non con i fatti, almeno a parole. Attratti dalla ribalta che i loro interventi gli regalavano, non hanno avuto né il coraggio né la lucidità per leggere gli eventi legati all’ultima positività di Schwazer. Hanno pontificato sulla mafia che sta dietro il doping, senza mai indicare dove stia di casa questa mafia, né hanno mai dato credito alle argomentazioni di Schwazer e Donati.

Avrebbero dovuto riflettere sul fatto che se esiste la mafia nello sport, le massime istituzioni sportive ne sono inevitabilmente contaminate, come è avvenuto per gli apparati dello stato per quanto concerne la Mafia siciliana e le altre mafie del sud d’Italia. È molto singolare che persone che invocano giustizia e severità non credano nell’efficacia delle pene e ritengano che una condanna precedente sia solo un indizio di colpevolezza, affermando più o meno pedissequamente che “è difficile fidarsi di quell’atleta che nel 2012, aveva confessato in lacrime la propria colpevolezza”.

La differenza però tra il 2012 e il 2016 era sopratutto una: nel 2016 Schwazer era seguito da Sandro Donati.

Chi ha cavalcato l’antidoping in questi anni ha probabilmente pensato che finalmente un personaggio ingombrante come Donati poteva uscire di scena, bollato anch’egli come allenatore di un dopato e lasciare loro tutto il palcoscenico in una finta battaglia al doping.

Di questi signori non vale la pena di occuparsi troppo, molto meglio ricordare uno degli interventi più belli e significativi sulla vicenda di Alex, quello di Susanna Tamaro. L’autrice di Va’ dove ti porta il cuore e di tante altre opere di analogo successo, sentì il bisogno, subito dopo la seconda positività di Alex, di esprimere il suo pensiero orientata da un intuito incredibile che le consente di leggere nella parte più profonda di ogni individuo: “Personalmente non crederò mai alla nuova colpevolezza di Schwazer neanche se mi si sventolasse sotto il naso un ettolitro di sangue in provetta sfavillante di testosterone. Per quale ragione una persona come lui, che ha avuto il coraggio di cadere e di risorgere, avrebbe dovuto fare una cosa così totalmente idiota? So che ormai è una cosa piuttosto fastidiosa da dire, ma esiste una complessità della persona e dunque, se vogliamo usare una parola grossa, dell’anima, che non è piegabile all’onnipotente forza del rendiconto, della doppiezza, della manipolazione. Da questa complessità nascono la poesia, la letteratura, l’arte. Da questa stessa complessità nascono gli eroi. E gli atleti – quando sono tali – appartengono nel nostro immaginario proprio a questa categoria.”

Ci vorrà una Greta Thunberg anche per tentare di salvare il mondo dello sport? L’inquinamento della bellezza originaria dello sport attraverso il doping e la corruzione delle istituzioni potrebbe trovare nelle immagini inquietanti dell’oceano lordato dai nostri rifiuti una rappresentazione simbolica, “il ritratto di Dorian Gray” che certifica la nostra dannazione mentre ci affanniamo ad apparire ciò che non siamo. A rifletterci bene le Greta Thunberg ci sono già, sono tutti quei bambini e adolescenti che ogni giorno manifestano il proprio disappunto per essere stati costretti ad abbandonare una pratica che amavano, da un sistema iper selettivo che della crescita delle persone se ne infischia. Se un giorno inizierà una nuova fase in grado di valorizzare l’attività sportiva per ciò che essa è, ovvero un mezzo in grado di offrirsi senza secondi fini alla crescita dell’uomo, servirà prima di tutto una pulizia radicale, una Norimberga che ci liberi da tutti coloro che hanno agito senza alcuno scrupolo uccidendo una delle manifestazioni più elevate dell’intelligenza e della creatività umana.